Nel 1269 Carlo d'Angiò, re di Napoli, fece costruire sulle pendici del Monte Somma, un castello, proprio dove sorge l'attuale Santuario.
Al suo interno fece erigere una cappella dedicata a Santa Lucia, martire siracusana. Nel castello soggiornarono Carlo Martello, Caterina, moglie di Filippo di Costantinopoli e lo stesso Carlo d'Angiò.
Questi, nel 1348 oppose una valida resistenza all'esercito di Luigi d'Ungheria. In seguito un po' per le guerre, un po' per le numerose eruzioni del Vesuvio, restò per lungo tempo disabitato e abbandonato. Attualmente del castello restano solo alcuni ruderi ed una torre.
Dopo la morte di Alfonso I d'Aragona, Lucrezia d'Alagno, nel 1458, fece costruire un altro castello più a valle, oggi "castello De Curtis", che si ammira all'inizio della salita dalla circonvallazione di Somma Vesuviana. Nel 1622 il venerabile don Carlo Carafa, fondatore della Congregazione dei "Pii Operai", di ritorno da Roma per l'approvazione delle Regole, desiderando ritirarsi in solitudine per praticare esercizi spirituali,
trovò questo luogo adatto ai suoi desideri e lo comprò vendendo del suo bestiame. Sui ruderi dell'antico castello, costruì una casa per la sua Comunità, ripristinò l'antica cappella di S. Lucia, dove collocò una statua lignea della SS.ma Vergine,
che dall'antica Aree di Somma, fu chiamata Santa Maria a Castello.
Comprando, successivamente, un altro fondo presso Caserta, vendette il castello, affidando la cura della chiesa ad un eremita, con la preghiera di accendere, quotidianamente, la lampada alla Madonna.
Il 16 dicembre del 1631 una terribile eruzione del Vesuvio, distrusse ogni cosa, compresa la chiesa e la statua della Madonna.
Cessata l'eruzione, alcuni contadini, scavando sotto la cenere, trovarono la testa della statua staccata dal busto incenerito e la consegnarono ai Sommesi, i quali la affidarono ad uno scultore di Napoli per ripristinarle il corpo.
Ma lo scultore, impegnato in altri lavori, la lasciò chiusa in una cassa. Un giorno, la figlia, costretta a letto perché immobilizzata agli arti,
udì una voce proveniente dall'interno della cassa. La voce la invitava ad alzarsi ed aprire la cassa dicendo: "vieni ed apri".
La giovane si scusò di non poterlo fare a causa della sua malattia. Ma la Madonna aggiunse: "alzati che ben potrai non avendo più male alcuno". Difatti, la giovane si alzò dal letto e aprì la cassa. La Madonna le disse che era stanca di restare chiusa in una cassa e voleva ritornare a casa sua.
Chiese alla giovane che sollecitasse il padre a compiere il lavoro. Ritornato a casa, lo scultore, stupefatto del prodigio, sollecitamente completò il lavoro senza badare a spese, rifacendo la statua simile alla prima.
La Madonna si presenta seduta in trono, con la sinistra sostiene il Bambino e con la destra regge il mondo sormontato da una croce.
La statua venne consegnata ai Sommesi i quali la collocarono nella chiesa di S. Lorenzo, rimasta intatta dall'eruzione del 1631
(oggi però completamente distrutta), in attesa che si completasse l'attuale chiesa di Castello.
La costruzione della chiesa, per mancanza di fondi, procedeva molto lentamente e la Vergine apparve ad una sua devota, inviandola da Antonio Orsini, un nobile e ricco cavaliere, discendente dai Conti di Sarno, pregandolo di aiutare economicamente il completamento della chiesa. Durante la costruzione, avvennero diversi prodigi.
Per la mancanza di acqua sul posto e per la difficoltà a portarla su, il lavoro procedeva con molto ritardo.
I fedeli pregarono la Santa Vergine e, scavando nei pressi della chiesa, trovarono una quantità enorme di acqua.
Ogni anno nel mese di maggio, si ripete il miracolo dell'acqua che sgorga nel fosso.
Alla fine dei lavori, nel sabato dopo Pasqua del 1650, la statua fu solennemente portata nella chiesa di Castello,
dove ogni anno si rinnova la tradizionale festa sino al 3 maggio.
I numerosi ex voto presenti nella sala attigua alla chiesa, sono il segno delle grazie ottenute dalla Madonna ai pellegrini.
Dal 1964 la chiesa può essere più facilmente raggiunta grazie ai lavori di ampliamento della strada.

 


Il ritrovamento della Madonna di Castello

(Fiabe del Vesuvio - Angelo Di Mauro)

La cantina che le erbe, il muschio e i capelvenere stringono in una morsa verde, è uno stretto cunicolo di terra, una grotta.
Si racconta che fosse la cripta di santa Lucia: la prima chiesa del castello, ormai dirupo.
Un capraio moltissimi anni fa seguendo le capre raggiunse il fondo delle scale.
Gli animali vi erano ammassati e belavano senza riuscire a trovare lo spazio e la via dell'uscita. Il pastore si fece largo nel caldo umido delle pelli e scorse una lucerna accesa.
In quella grotta dovevano essere secoli che non entrava nessuno. Un pò si spaventò, tirò fuori le capre e guardò meglio.
La fioca luce illuminava quello che sembrava un teschio. Fuliggine e licheni ricoprivano il volto. Il capraio scostò la lucerna, passò con cautela la mano sulla testa e s'accorse che era sormontata da una corona. Ripulì il volto e notò che aveva sembianze femminili: era una Madonna. La portò fuori e ne parlò con tutti quelli che incontrava. Col tempo fu costruita l'attuale chiesa del castello, ma lo scultore che doveva restaurare la Madonna non finiva o non cominciava mai il lavoro. Era stato scelto il migliore nel campo.
Dopo molti mese la testa marciva in una cassa peggio che in fondo alla grotta. L'uomo aveva una figlia paralitica. Una notte la ragazza sognò una bellissima Signora in manto azzurro che la invitava ad alzarsi.
<Ma io non posso> rispose la ragazza.
<Vai da papà, vai, che puoi scendere, vai bella!>
<Ma come faccio?> e indicava le gambe ferme da anni.
<Vai da papà e digli di finire il lavoro sulla mia faccia. Digli di portare la statua a Somma.>
Così dicendo la sfiorò con la mano. Sul volto della ragazza comparve una striscia d'oro.
Al risveglio si alzò, si recò dal padre e gli raccontò ogni cosa. Il padre capì la lezione e finì il lavoro.
Ora la Medonna Schiavona con la sua faccia contadina sembrava una madre strabica che guarda lontano, oltre i bisogni degli uomini e quelle volte interviene per sottrarli a naufragi, incidenti, guerre e carestie, eruzioni.

Da Comme truvaino 'a Maronna 'e Castiello di Rosa Serpico


La più famosa canzone dedicata al Monte Somma fu scritta da Gino Auriemma (1900-1960), illustre poeta sommese, e musicata da Enrico Cecere (1907-1994). Parole e versi che risultano sempre attuali e che celebrano con grande passione la nostra amata montagna:

Muntagna ‘e stu core

Nu parpete ‘e viento suspira
Pe’ ddint’a sti’ severe verde,
saglienne stu core se perde
nun sape addò s’adda fermà…
Muntagna ‘e stu core,
te voglio assaie bene
me lieve d’è ppene
e io torno a cantà…
Na refele ‘e viento,
na fronna, nu sciore
è chisto l’ammore
ca i’voglio da te.
‘E Gavete, ‘o Ciglio, Castiello….
Ma quanta, ma quanta ricorde!
Ma comme nu core se scorde
Restanne luntane da te?
Muntagna ‘e stu core…
Fuiette luntano da Somma
crerenneme ‘e farte dispietto
sperduto p’ ‘o munno arricietto
Nun fuie capace ‘e truvà
Muntagna ‘e stu core…
‘Na veppetta d’acqua annevata
ca scorre d’ ‘a preta ‘a Capone
nu sciore sperduto ‘e vallone
Me fanno cuntento ‘e murì
Muntagna ‘e stu core…


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